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Francesco Savini,

La lapide cinquecentesca
di casa Corradi in Teramo riscoperta nel 1931

in "Il Solco", n.3 del 17 gennaio 1932

 

1. Descrizione | 2. Interpretazione verbale | 3. Senso allusivo

4. Interpretazione storica | 5. L'antica casa Corradi

 

 

1. Descrizione - Nello scorso novembre 1931, restaurandosi nella via del Semínario in Teramo l’antica casa Corradí, oggi Capuani, in gran parte di maniera trecentesca e, scrostandosi il moderno intonaco, apparve nella facciata una lapida scolpita in pietra locale, a foggia di portone ad arco tondo un po' depresso, sotto cui leggonsi a lettere romane in rilievo in due righe.

† 1 5 1 0 †

Catenacio

Sotto l’architrave e sino alla soglia del portone, veggonsi scolpite, pure a rilievo, le due imposte chiuse da una catena ad anelli oblunghi, che va orizzontalmente da uno stipite all'altro, e la quale, scendendo a sinistra, si curva ad afferrare con l’ultimo anello un chiavistello (catenaccio), che invece di esser tenuto, come al solito, orizzontale dagli anelli fissi, che qui sono tre, scende a piombo sulla sinistra imposta. La maniglia del chiavistello è fissata col boncinello alla toppa, della quale si scorge il buco per la chiave; il singolare si è, che una mano, tronca, con parte della manica dell’abito stringe la maniglia del chiavistello come per assicurarsi della forza della chiusura.

Immediatamente sotto la soglia del portone, ma staccata da essa, e della medesima. lunghezza, appare un'altra pietra con lettere romane, pure a rilievo, contenente un esametro latino sentenzioso, come s’usava allora ne' fregi delle case, in tre righe, con due iniziali sopra e così disposti

S. A.

NON BENE PRO TOTO

LIBERTAS VENDITVR

AVRO

 

 

2. Interpretazione verbale – Innanzi tutto è da chiedere: si tratta di uno stemma di famiglia o di una figura scolpita con motto analogo? Escludasi il primo, giacchè mancano i requisiti araldici dello scudo e della figura; mentre appaion chiare le forme comuni del portone in pietra, delle imposte in legno e della catena e del chiavistello in ferro; inoltre, nella lunetta leggonsi l'anno 1510 e la parola "catenacio”; la catena tiene ben ferma la porta e ne assicura la chiusura col chiavistello, a sua volta fisso entro la toppa col boncinello afferrato dalla stanghetta di questa, e vi si aggiunge il pugno, come a dire: guai a chi tocca questo catenaccio, che qui si vede in figura e in lettere.

Sotto la porta si scorge la sentenza, che va anch'essa in accordo con le figure, e che, tolta la trasposizione propria del latino, deve leggersi:

“Libertas non venditur bene pro toto auro” ossia, in volgare: “La libertà non si vende per tutto l'oro, che si possiede”. Restano ad interpretarsi le due iniziali, che sono scolpite al di sopra: S. A.

A volerle intendere in accordo col motto sottostante, come conviene fare, v'ha bisogno d'uno sforzo di penetrazione, che non dà certo sicurezza, ma che qui 'enteremo: S(IC) A(GE): ossia, cosí tu opera.

È un invito a seguire la sentenza sopra spiegata. Così noi la intendiamo e, in ogni caso, rivolgiamo al lettore il classico: “Si melius nosti candidus imperti, si non, his utere mecum”.

 

3. Senso allusivo - In quanto a questo, può nascere il dubbio, se la parola “Catenacio” adoperasi qui nel significato di nome personale, giacchè fioriva in quell'anno (1510) in Teramo la famiglia Catenacci e, propriamente, un Sor Angelo “Catinacii”, canonico lettore della chiesa dell'Annunziata e confratello di quella dello Spirito Santo (v. Savini, Famiglie del Teramano; Catenacci, n. 1).

E per tale fu intesa sulle prime quella parola “Catenacio”. Se non che ostano a tal senso varie ragioni: a) L'esser nudo nome senza indicazione di paternità, nè di altra qualità personale; b) la mancanza di ogni segno familiare araldico; c) la forma chiara di un portone arcuato libero e non inserito in uno scudo araldico sì da poter alludere ad arma parlante di casata, siccome accade di parecchie famiglie cognominate “Della Porta”.

Ne deduciamo, che l'autore della sentenza e della scultura ha voluto esprimere solo la figura di un portone chiuso e ben ferrato e, per chiarir meglio il suo concetto, vi ha inciso sopra il nome dell'oggetto rappresentato: il catenaccio, e, sotto, un motto morale, che nel signifícato compie il pensiero suo, con l'indicazione dello scopo, ossia della custodia dell'oro e del buon uso che deve farsi di esso, non che della minaccia del pugno contro chi osasse attentare al tesoro... in danno della cittadina libertà. E di questa trattavasi allora in Teramo e di questa veniamo ora a parlare.

 

4. L’interpretazione storica - In quel tempo Teramo viveva nel terrore di perdere quella libertà, ricadendo sotto la dominazione degli Acquaviva, che, per mano di Giosia duca d'Atri e di Teramo, l'aveva oppressa sino al 1461. I cittadini dal 1501 si agitavano nello sforzo di serbare la loro libertà demaniale, come si chiamava allora, ed il maggiore per quei tempi era quello di riscattarsi a peso d'oro di fronte all’impegno preso dal discendente di Giosía, il duca Andrea Matteo III, verso la Spagna di pagare in una sola volta, come di fatti seguì poi nel 1521, il prezzo di 40 mila ducati per l'acquisto della città.

Tutto ciò ci fa intendere il vero senso del motto surriportato, ossia, come per dire all’Acquaviva, che la libertà dei cittadini non si compra con tutto l'oro dei mondo e che questi si sarebbero riscattati con la stessa somma, serbando il più prezioso tesoro della libertà. E così difatti seguì nel 1522, come ci narrano i nostrí storici (Palina, vol. II, p. 228; I. ediz.).

 

La "casa Corradi" in una foto di Ernesto Aurini, 1907

 

5. L’antica casa Corradi - La casa, posta nel quartiere di S. Spirito, in via del Seminario, ed ora restaurata nelle varie successive trasformazioni scoperte sotto l'intonaco e da essa subite nei secoli XIV, XV, XVI e XVII, è stata sempre dei Corradi, sino alla loro estinzione, seguita alla fine dello scorso secolo XIX. Che poi, proprio all'epoca della descritta lapide nel 1510, appartenesse loro, síccome nei secoli anteriori, provano queste menzioni documentate: Giacomo Corradi, confratello della chiesa dello Spirito Santo nel 1495, e magistrato del Comune nel 1509; Giacomantonio Corradi, magistrato comunale pel sestiere di S. Spirito nel 1554; Giorgio Corradi, de' Quarantotto per San Spirito nel 1751 (v. Savini, Le famiglie del Teramano; “Corradi” n.ri 4, 8 e 17).

Se dunque i Corradi erano i padroni di essa casa nel 1510, siccome dimostrano le suddette menzioni civili e religiose locali de' loro ufficii, non che la costante e nota tradizione cittadina, è uopo credere, che uno o più di essi apposero la lapide sulla facciata della medesima, ove oggi è riapparsa alla luce.

Tutto ció, escludendo dalla proprietà della casa ogni altra famiglia ed in ogni tempo, e quindi anche quella dei Catenacci, viene a confermare ciò che abbiamo dimostrato nel § 1, ossia, che tanto la porta, quanto il catenaccio raffigurino direttamente oggetti e non araldicamente, o altrimenti, nomi di persone, nè di famiglie.

Certo i Corradi, famiglia antica e principale di Teramo, in tempi di minacciata libertà cittadina, vollero lasciare nel motto ammonitore e nelle espressive figure uno stabile ricordo dell'amor loro alla patria libertà.
 

Teramo, 13 gennaio 1932

F. SAVINI


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