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Cardellini e Montani

Alcune considerazioni sul Teatro Romano di Teramo

in "Teramo. Bollettino mensile del Comune di Teramo",
anno III (1934), n. 1-2, gennaio-febbraio.
[completo delle illustrazioni originali]

Premessa

 

Quanto diremo sul teatro romano di Teramo non ha, né vuole avere, la pretesa di uno studio archeologico. Invero, insigni storici teramani hanno parlato di questo monumento, della cui valorizzazione furono primi assertori l’egregio Avv. Luigi Paris (allora capo della civica Amministrazione) ed il compianto Prof. Carlo Marchetti, fervido animatore di ogni buona iniziativa cittadina. 

Più particolarmente spetta a Francesco Savini, che da oltre un cinquantennio dedica la sua ben nota ed inesausta attività di storico e di archeologo ai monumenti della nostra provincia, il merito di aver fatto luce sul Teatro Romano, attraverso una fruttuosa serie di scavi condotti, talvolta a sue spese, con competenza di studioso e con vigile passione di cittadino innamorato delle bellezze artistiche della propria terra. 

 

 

E neppure uno scopo urbanistico, nello stretto senso della parola, si prefiggono queste brevi considerazioni, poiché un monumento non può essere riguardato come a sé stante, né convenientemente sistemato in tal senso; ma, al contrario, bisogna inquadrarlo nel complesso edilizio del quartiere e, spesso, dell'intera città che lo contiene. Si é mirato soltanto a divulgare la conoscenza degli avanzi del bellissimo teatro poiché, purtroppo, solo pochissimi hanno àdito agl'incomodi scantinati dove si celano gli archi vetusti, voltati, con ardimento ed imponenza romani, sui pilastri che tuttora reggono valorosamente il peso delle sovrastanti costruzioni sorte molto più tardi. 

In questo modesto lavoro non poco ci ha sospinti la fede che un giorno le imponenti vestigia del teatro romano, liberate dalle casupole che ora le nascondono, possano mostrare tutta la loro classica bellezza, sostituendo un impareggiabile quadro monumentale ad una zona che oggi rivela uno dei meno gradevoli aspetti cittadini. E l' augurio non sembra audace: nel fervido ritmo fascista, che sospinge ogni iniziativa mirante all'abbellimento della nostra terra, e più palpita là dove è qualche vestigia di romanità, molte aspirazioni, che un tempo sembravano pure utopie, diventano luminose evidenze. La nostra Teramo può dunque aspirare alla realizzazione di questo sogno, specie ora che, sotto la guida oculata e fattiva dei dirigenti 1a cosa pubblica, essa si appresta, attraverso la compilazione del piano regolatore, a concretare il suo migliore avvenire. 

Chi vólesse approfondire le notizie intorno agli scavi eseguiti, o conoscere in quale clima storico sia nato il teatro romano di Teramo e ne siano pervenute fino a noi le imponenti vestigia, non ha che a consultare la pregevolissima opera del Savini (Notizie sugli scavi ciel teatro romano ‑ Atti della R. Accademia dei Lincei) ed i cenni che ne ha dati il prof. Luigi Savorini nella sua introduzione storico‑artistica agli studi per il piano regolatore di Teramo, cenni che costituiscono una bellissima sintesi delle vicende edilizie di questa nostra città, dalle origini ad oggi.

 

 

Ubicazione del Teatro Romano e notizie

 

Il Teatro sorgeva in corrispondenza della Piazza detta impropriamente dell'Anfiteatro (comunemente chiamata Piazza di S. Bartolomeo) partecipando così di quella vasta zona che doveva costituire, oltre il foro, un complesso monumentale d' Interamnia. ,

Ne fanno fede i resti di un importante monumento, siti tra l’attuale Duomo ed il Seminario, non ancora identificato, come pure quelli delle terme, in corrispondenza dell'ampliamento eseguito qualche anno fa alla sede municipale. E forse la Cattedrale gotica (che oggi adorna la piazza ed anela anch'essa ad un più ampio respiro, oltre la stretta del ciarpame edilizio che le si abbarbica d'attorno), sorge, almeno in parte, sugli avanzi di un tempio romano usati come fondamenta, cosa questa assai comune nel periodo medioevale.

In questa zona sboccava, completando la bellezza del quadro, il decumano (o il cardo?) della città, anch'esso ornato d'importanti edifici e che si identifica, approssimativamente, con l’attuale Corso de Michetti, confermando così il ricorrere di una circostanza, nota in urbanistica sotto il nome di“persistenza degli schemi topografici”.

A chi sosta nell'attuale piazza dell'Anfiteatro appare evidente, dal contorno che tracciano le costruzioni perimetrali, la struttura del sottostante teatro. Le casette che si susseguono sul lato meridionale della piazza, disposte con i confini in senso radiale, formano un emiciclo che riproduce quasi fedelmente l’ andamento della “cavea” del teatro; questa circostanza si è verificata per molti monumenti antichi, ed un caso del tutto analogo si osservava fino a poco tempo fa, nella zona del grandioso teatro romano di Benevento; diciamo si osservava, poichè oramai il monumento è stato rimesso in luce e liberato dalle casupole che l’ opprimevano. L'edificio che attualmente è sito lungo il lato settentrionale della piazza, e contiene la chiesetta di S. Bartolomeo, traccia la linea della “scena”, il palcoscenico dei teatri odierni.

Nonostante questa evidenza esteriore, elemento peraltro molto vago, per lungo tempo, dagli storici passati, gli avanzi del monumento furono creduti appartenenti ad un anfiteatro. Fu il Savini che, nel 1919, attraverso uno scavo praticato nella zona antistante alla chiesa di S. Bartolomeo, rinvenne gli elementi del “pulpitum” e della “frons scenae” stabilendo così, in maniera inequivocabile, l’ esistenza di un teatro.

Gli esigui frammenti lapidari, rinvenuti durante gli scavi, non consentono dì stabilire in quale epoca sorgesse il teatro romano di Teramo. Francesco Savini, nei suoi scritti, suppone che il teatro sia sorto sotto l’ impero di Adriano, ed il prof. Savorini, nella relazione storica per il piano regolatore di Teramo, attraverso un' esposizione molto convincente, giunge alla stessa conclusione. Tale ipotesi sembra aderire perfettamente alla realtà, anche considerando, e si farà in seguito, la struttura del teatro e le diverse membrature che lo compongono. Ragioni di analogia concordano pure in tal senso: infatti il vicino teatro romano di Falerone, abbastanza simile al nostro, per quanto assai piú piccolo e disadorno, risulta, in maniera certa, appartenere all'epoca di Adriano.

Il piano primitivo del teatro romano di Teramo si trova ad una, profondità media di circa m. 4,30 sotto il suolo attuale; dislivello, com'è noto, dovuto in gran parte, al graduale rovinio dell'edificio.

A somiglianza di tutti i teatri romani il nostro é costruito completamente in elevazione, in muratura di pietrame informe o in conglomerato nelle murature accessorie o in quelle nascoste.; in muratura a grossi blocchi di pietra squadrata in quelle apparenti (pietra gessosa tufacea o in travertino, locali). Gli elementi decorativi della “scena” erano anch'essi in travertino, né era estraneo l'impiego di marmi pregiati che pure, ritroviamo nei pavimenti.

Le maestose pilastrate e le arcate in travertino, le colonne e le trabeazioni che ornavano la “scena”, dovevano conferire al nostro teatro, sia all'esterno che all'interno, un superbo carattere di monumentalità e di ricchezza. Inoltre la sua capienza era tale da consentirgli, durante gli spettacoli, di ospitare largamente, nei varii cunei delle cavee (1), la folla urbana e quella del contado.

 

 

Particolari costruttivi del Teatro

 

L' ossatura del teatro é formata da una serie di membrature radiali, costituite da robusti muri di forma pressoché trapezoidale, degradanti verso il centro del Teatro (vedi pianta e sez. figg. 1-2). Da questa parte, essi terminano in un grosso basamento semicircolare che li collega (podio) e che, nel suo giro, racchiude l' orchestra. Verso l'esterno, invece, terminano in altrettanti pilastri sui quali girano delle arcate che delimitano la “cavea” superiore. Il profilo di queste membrature, verso lalto, come appare nella sezione (fig. 2), é realizzato in maniera da costituire l’ appoggio ad una cavea superiore “summa cavea”, ad un corridoio “praecinctiones” e ad una cavea inferiore “ima cavea”, quest'ultima limitata dal podio. Qui conviene dire, però, che lo stato attuale degli scavi non‑ eónsente di controllare con precisione ;fin qual punto le membrature anzidette ` si inseriscano nel podio, del quale ignoriamo la largezza esatta, poiché un muretto che corre in giro al teatro, al disotto della precinzione posta fra le cavee, occlude la vista (2), come appare in sezione.

Per contro siamo certi che il podio arrivasse, verso l’ orchestra, fino al punto indicato in pianta, poiché il Savini, nell'impossibilità di continuare lo scavo al disotto della cavea inferiore, esplorò (secondo l’ indicazione in pianta fig. 1) la cavea stessa dal disopra, determinando il punto in cui essa aveva termine.

La struttura delle membrature radiali anzidette é la seguente: i pilastri e parte del muro sono in muratura a blocchi quadrati di pietra gessosa tufacea, messi in opera con interposizione di malta (3) ; il restante muro fino al muretto perimetrale più avanti citato, é in “opus incertum”.

La muratura a pietrame é isodoma e, sia nei pilastri, sia nell' attacco con l'“opus incertum”, segue una disposizione a bugnato. Gli archi, che impostano sui pilastri e sono costituiti da undici conci della medesima pietra, dal profilo completamente estradossato, delimitano la cavea superiore.

Sulle membrature dianzi descritte, determinanti una serie di fornici o settori parziali, impostano i voltoni derivati da un unico getto monolitico formante la “summa cavea”, le “praecintiones”, l' "ima cavea” e il "podio”. Questi voltoni, che in qualche punto raggiungono lo spessore di quasi due metri (!), partecipano di una delle più classiche strutture romane: l' "opus caementitium”, specie di calcestruzzo di malta e ghiaia, o altro materiale del genere, costituente un blocco monolitico resistentissimo. Al di sotto di queste volte non si scorge alcuna traccia di laterizi (4) il che potrebbe far supporre che esse, unitamente all' “opus incertum”, fossero intonacate.

 

 

Oltre la serie di pilastri e di arcate più su menzionate, un'altra, ad essa esterna, correva lungo l’ emiciclo del teatro. Pilastri ed archi erano anch'essi costruiti con blocchi e conci di pietra, ma in travertino anziché in pietra tenera, come avveniva per l’ ordine interno, e ciò, evidentemente, per un duplice scopo estetico e pratico. Questi pilastri dell'ordine esterno erano rettangolari, ornati all'imposta da una cornice, ed i blocchi che li formavano, come appare anche oggi, erano disposti alternativamente a bugne, ornate da bozze rustiche, che conferivano loro un' apparenza di maggiore forza e bellezza. Fra la duplice serie di pilastri e di arcate, l’ interna e l’ esterna, si svolgeva l’ ambulacro, coperto da una volta a botte anulare di cui nessun segno rimane nella zona fino ad ora messa in luce. A1 disopra di questa volta vi era un secondo ambulacro o, forse, una breve serie di gradinate per il pubblico. Sia nell'un caso che nell'altro, quasi certamente, nonostante che nessuna traccia sia apparsa negli scavi finora eseguiti, questa zona era coperta da una struttura, comune a quasi tutti i teatri romani, conformata a loggia verso l’ interno del teatro, e verso l'esterno, com'è accennato in sezione, a muro ornato di lesene, in corrispondenza dei pilastri sottostanti, e recante i sostegni pel velabro.

Un particolare accenno merita la disposizione dei “vomitoria”. Le rampe delle scale di accesso, di cui é impossibile allo stato precisare il numero, correvano nel vano compreso fra due strutture radiali successive, così come é accennato in pianta, sboccando, attraverso i “vomitoria”, sulla precinzione sita fra la cavea superiore e l’inferiore.

Com'è noto, nei teatri di maggior importanza, fra due cavee successive v'era uno sbalzo notevole in maniera che la precinzione, compresa fra le cavee stesse, veniva limitata, verso la cavea superiore, da un muro verticale lungo il quale si aprivano i “vomitoria”. Tale struttura consentiva la praticabilità delle scale al disotto della cavea sovrastante che, in questo caso, non presentava interruzioni di sorta.

Nei teatri meno grandi, come avviene nel nostro, fra la cavea superiore e l’ inferiore, invece, non esisteva balzo alcuno e la precinzione univa direttamente il termine della cavea superiore con il principio dell'inferiore (vedi sezione figura 2). Tale conformazione non consentiva la praticabilità della scala al disotto della cavea, sovrastante:, per ovviare a tale inconveniente, quest'ultima doveva essere interrotta in corrispondenza della scala stessa, e le interruzioni costituivano appunto i vani dei “vomitoria” che davano adito alla precinzione (vedi particolare di un cuneo, fig. 3).

Le cavee del nostro teatro erano divise in cunei, come sempre avveniva, limitati dagli “itinera scalaria” di cui restano tracce nella zona dissepolta.

A questo punto gioverà anche ricordare che il profilo delle cavee del nostro teatro importava l’esistenza di un solo ordine esterno, oltre il loggiato superiore, di cui s' é più innanzi parlato.

Da ultimo non sarà superfluo aggiungere due parole sulla ,scena. Le esplorazioni eseguite dal Savini lungo il pulpito, il rinvenimento dei muri della “frons scenae” ed il materiale decorativo che li ornava, dicono eloquentemente che tutta la scena dovesse avere un carattere di particolare ricchezza.

Le colonne in travertino, sorreggenti una trabeazione dello stesso materiale, appartenevano allo stile corinzio ed avevano un diametro all' imoscapo di cm. 50.

Esse poggiavano su una risega dei muri della “frons scenae” che s'innalzavano dietro le colonne stesse (vedi pianta), realizzando così la nota disposizione “periptera: in conseguenza le colonne erano scanalate solo dalla parte vista, verso l' orchestra.

É da ritenere che questo solo ordine ornasse la “scena”, poiché la sommità di esso coincide, ad un dipresso, con quella della cavea superiore.

Quanto si é esposto in questo capitolo, tratteggia, per sommi capi, la struttura del nostro teatro, relativamente a ciò che lo stato attuale degli scavi consente di stabilire. Non sarà, quindi, inopportuno accennare agli elementi del teatro che, allo stato, restano incerti, almeno nei particolari, e di quelle parti della pianta, qui riportata, ottenute soltanto attraverso la deduzione da elementi superstiti e l’ analogia con altri teatri simili al nostro.

Innanzi tutto non é stato possibile eseguire una misurazione rigorosamente esatta del raggio esterno del teatro, poiché, attualmente, a causa dei muri dello scantinato che nascondono le arcate, é impossibile effettuare il rilievo con un goniometro. É stato giocoforza limitarsi, perciò, ad un rilievo dell'emiciclo esterno, calcolando le deviazioni dei pilastri da un allineamento rettilineo.

Essendo stata ripetuta l'operazione per tre serie di tre pilastri ognuna, ed avendo adottata la media dei risultati ottenuti, si ritiene che il valore del raggio esterno, riportato in pianta, possa differire di poco da quello reale. In quanto al raggio interno, se n'è determinata la misura in base al saggio eseguito dal Savini sulla cavea inferiore e sul podio.

I pilastri, ed i muri radiali ad essi collegati, si sono esattamente rilevati sul ‑posto ed `e fuor di dubbio che quelli tuttora sepolti conservino le stesse dimensioni e lo stesso interasse.

La lunghezza della cavea superiore é rilevata anch'essa sul posto: quella della precinzione, della cavea inferiore e del podio, coincidono certamente nel valore complessivo, mentre sono intuitive nei singoli valori parziali.

Allo stato degli scavi non é possibile precisare in quanti cunei fossero divise le cavee né può dirsi la posizione esatta degli “itinera scalaria” e dei “vomitoria”, così come non può dirsi quale uso avesse il vano in corrispondenza del fornice centrale, che non reca tracce della cavea e prosegue fin oltre le arcate (era forse una specie di “pulvinare” o tribuna per le autorità?)

In quanto alla struttura del palcoscenico, i saggi eseguiti dal Savini individuano con precisione la linea del “pulpitum” e quella dei muri ornanti la “frons scenae”. Durante gli scavi di uno di questi muri, e precisamente di quello a sinistra dell'ingresso centrale, ne è apparso il risvolto verso l’ ingresso stesso; abbiamo potuto così, in linea intuitiva, stabilire il tracciato dei muri in parola.

Nella pianta sono pure intuitivi il tracciato del “post scenium”, quello degli edifici terminali della scena, verso i corni dell'emiciclo, “i vomitoria”, in corrispondenza dei corni stessi, e l’ esistenza delle nicchie del “pulpitum”, (5) che abbiamo creduto di ravvisare in alcune sporgenze che si osservano, lungo il muro del “pulpitum”, nei grafici pubblicati dal Savini, a corredo della sua relazione sugli scavi.

La posizione della scala, che mena all'orchestra, è anch'essa intuitiva. Le colonne e le relative trabeazioni sono, invece, determinate in base agli elementi rinvenuti durante gli scavi.

Non si può dire, allo stato, se al di là del “post scenium” vi fosse o meno un portico, comune a molti teatri romani, che serviva da riparo alla pioggia e veniva usato anche per l’ istruzione dei cori.

 

 

Cosa resta del Teatro e come apparirà una volta , messo in luce

 

Come risulta dalla pianta, ben undici fornici dell'emiciclo, la maggior parte dei quali recanti i voltoni della cavea, sono stati fino ad ora messi in luce: i relativi pilastri e le bellissime arcate sono quasi completamente integri. In corrispondenza di essi, alcuni pilastri dell'ordine esterno hanno resistito alla rovina, e due sono molto ben conservati, unitamente all'archivolto che li unisce (visibili da un vano scantinato della casa di proprietà dell'Avv. Giovanni Pirocchi).

Alcuni avanzi di “itinera scalaria” ed una scala di accesso alla precinzione, quasi tutta “in situ”, completano le vestigia, finora messe in luce, dell'emiciclo del teatro romano di Teramo. La figura 4 mostra con fedeltà come esse apparirebbero, in parte, ove venissero completamente isolate.

Che cosa resta dell'altra parte dell'emiciclo, la minor parte tuttora sepolta ?

 

 

Non crediamo di essere molto lungi dal vero supponendo che, ove gli scavi venissero proseguiti, tutto l’ emiciclo apparirebbe in condizioni pressochè simili a quelle degli avanzi finora dissepolti.

Lo attesta la disposizione delle case sovrastanti che, come si è detto, seguono il tracciato della cavea dimostrando di essere state costruite su di essa.

V'è ragione di ritenere, anzi, che, verso oriente, gli scavi sarebbero più fruttuosi e forse porterebbero alla luce una parte del loggiato superiore; veniamo così a condividere una logica supposizione del Prof. Savorini, basata sul fatto che le casupole sorgenti su questo lato dell' emiciclo, a differenza delle altre, hanno il pianterreno rilevato di oltre un metro sul livello della piazza, senza, peraltro, possedere scantinati di sorta. In quanto alla scena, il materiale finora rinvenuto (6) ci autorizza a supporre che, mettendo “in situ” gli elementi superstiti provenienti da uno scavo generale di essa, si potrebbe ottenere un suggestivo ed imponente quadro d'arte romana, simile a quello mostrato dalla fig. 5.

 

C o n c 1 u s i o n e

 

Francesco Savini chiudeva la sua, relazione sugli scavi eseguiti, con queste parole

“Sono finiti così gli scavi e null'altro c' è da esplorare nel teatro romano di Teramo ?

Certo dovrebbero scoprirsi tutti gli avanzi del monumento tuttora nascosti sotto le case del largo S. Bartolomeo, le quali si veggono posare in cerchio sulla cavea dell'antico teatro, per avere di questo una Piú Piena nozione. Ma una simile impresa importerebbe l'abbattimento di tutte quelle case, e quindi, una spesa enorme che nè la città può sostenere, nè lo Stato sembra volersi assumere. Dobbiamo, perciò, pur facendo voti Pel Pieno scoprimento di quegli avanzi, restringere i nostri propositi tra limiti Piú brevi”.

Esse dimostrano chiaramente come il Savini, con idee precorritrici, auspicasse, fin dal 1919, una piena liberazione del monumento; solo esitando di fronte alle difficoltà, sopratutto economiche, che in quei tempi erano insormontabili. Proponeva perciò una soluzione tanto parziale, quanto finanziariamente modesta, per sistemare il monumento.

Oggi, che, ripetiamo, i tempi e le mentalità sono tanto felicemente cambiati, ci é possibile credere nel raggiungimento di una completa liberazione del teatro romano di Teramo (7) : opera, questa, che inciderebbe in eterno, nella nostra città, il segno di Roma e del Littorio.

Dott. Ingg. MONTANI e CARDELLINI

 

 

note

(1) Secondo le leggi Roscia e,Giulia i “gradus” vicini all'orchestra erano riservati ai magistrati ed all' ordine equestre ; similmente in tutta la restante cavea i diversi ceti del pubblico prendevano posto in determinate zone. Anche Augusto emanò un editto in merito.

(2) Questo muretto, costituito da ciottoli e pietre informi legati a malta (specie di “opus incertum”), più che una ragione statica, doveva avere lo scopo di impedire l’ accesso e la vista delle strutture più basse del teatro, limitando così la parte trafficabile e visibile ad un' altezza rispondente a ragioni pratiche ed estetiche.

L'esistenza di tale muretto, e più che altro l’ impossibilità di praticare allora dei saggi, indusse il Palma a supporre, che il muretto stesso fosse il podio oltre il quale, quindi, avesse principio l’ orchestra. Riportiamo, a tal fine, una parte della bellissima e concisa descrizione che il Palma faceva del nostro teatro: “Un muro di pietre comuni, non molto alto, chiudeva la curva dell'arena in tutto il suo giro. A tale muro vedesi appoggiato una serie di volte, ecc.

(3) La malta, in questa muratura, píù che come elemento di presa, era usata per ottenere una migliore superficie dei letti di posa.

(4) Spesso i romani, per evitare l’ uso di complesse centinuature, costruivano dapprima la volta in laterizi, legati con malta a pronta presa, e su di essa operavano il getto di “caementum”. L'armatura in laterizi restava poi come rivestimento.

(5) Nei teatri romani tali nicchie ospitavano dei vasi in metallo o in terracotta, chiamati “echea r, che avevano lo scopo di aumentare la risonanza.

(6) Riportiamo le parole, del Savini stralciate dagli Atti della R. Accademia dei Lincei, relativi agli scavi eseguiti lungo la scena del teatro romano di Teramo: “Intanto, continuando nella detta linea parallela d' esplorazione, i migliori frutti dello scavo si affollavano al nostro sguardo. Alla profondità di “m. 3,60 ecco presentarsi “in situ un bel basamento di marmo bianco, scorniciato, sotto cui, a mezzogiorno, impostavasi un pavimento in lastre sottili, quasi stritolate dal peso delle rovine, dello stesso marmo, e, tutt'intorno, addossati al basamento, un avanzo epigrafico, di cui più avanti; frammenti di marmi anche colorati, fra cui un toro di cornice della grossezza di m. 0,06 e c'imbattemmo sempre in nuovi avanzi di cornici in pietra locale; in un gocciolatoio ornato di mensole, a foglie d'acqua, e di rosoni: in un abaco di ricco capitello corinzio, che accennava al diametro di m. 0,50. Siamo così dinanzi ad una magnifica decorazione corinzia che in quel luogo poteva soltanto adornare il fondo di una scena .......Intanto si approfondiva lo scavo fino a scoprire, a m. 4,00, ed in mezzo a massi dispersi, tutto il muro della “frons scenae” “ed il basamento su cui questa si ergeva. Anzi, continuandosi nel lavoro e sgombrandosi i massi che quivi si affollavano disordinati, si rinvennero altri frammenti del cornicione e della decorazione in pietra locale, gocciolatoi con mensole e rosoni intagliati, una base attica del diametro di m. 0,50 con l’ imoscapo della colonna in parte scanalata ed in parte liscia, che, con le altre colonne ora distrutte e col sudescritto cornicione, compivano la ricca decorazione corinzia della “frons scenae”.

(7) Programma da svolgersi in maniera graduale, parallelamente al divenire del piano regolatore della città, di prossima progettazione.

 

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